Abbiamo già in passato trattato l’argomento della cosiddetta “Great resignation”, vale a dire la pratica delle dimissioni volontarie, che dopo la pandemia si è diffusa anche nel nostro paese, in particolare nel Nord Italia. Questo fenomeno, come ormai sappiamo, è tuttora in crescita ed è pertanto giusto interrogarsi sulle motivazioni di questa scelta che coinvolge soprattutto i giovani. A scegliere di cambiare lavoro sarebbero i giovani tra i 26 e i 35 anni, secondo quanto riportato dall’Aidp, l’Associazione italiana direzione personale e dal Sole 24 Ore. Le dimissioni volontarie riguarderebbero il 60% delle aziende interessando le aree informatica, digitale, marketing e vendite.
Cosa spinge i giovani alla ricerca di questo cambiamento? Sicuramente la ricerca di migliori condizioni economiche ma anche la possibilità di calibrare lavoro e vita privata.Il fenomeno, partito nel 2021 negli Stati Uniti, ha preso piede anche in Italia ed è analizzato in correlazione al distacco venutosi a creare tra i cosiddetti “baby boomer” e le generazioni millennial e Gen Z, secondo gli esperti. Adesso le aziende si ritrovano a far fronte a molte dipartite e a studiare delle metodologie per trattenere i loro talenti. Comprensibile come i giovani cerchino di trovare più elementi di positività nella prosecuzione di un lavoro, a fronte di una riflessione sulla propria vita personale diventata più esigente con la pandemia e adesso con le numerose incognite poste dalla guerra e dalle crisi energetiche incombenti.
Cosa fare? Un approccio chiaro e sincero da parte di aziende e dipendenti è sempre funzionale. È un’ottima scelta quella di interrogarsi sul “benessere aziendale”, capire le esigenze e venirsi incontro.
Proprio la realizzazione del giusto “match” tra domanda ed offerta è il segreto un maggiore benessere lavorativo e, forse, anche una delle soluzioni a questo fenomeno ormai tanto dilagante.